BlogCausali dei contratti a termine: più tempo per gli accordi collettivi

Febbraio 20, 2024

Il 30 aprile 2024 sarebbe dovuto scadere il termine che era stato concesso dal Legislatore alle parti sociali per individuare, nell’ambito della contrattazione collettiva, anche aziendale, i casi al ricorrere dei quali sarà possibile protrarre la durata di un contratto di lavoro a tempo determinato, anche in somministrazione, per oltre 12 mesi.

 

È noto che, nell’ambito degli oscillanti interventi legislativi che hanno caratterizzato la disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato – anche in somministrazione – negli ultimi (almeno) diciassette anni, l’ultimo apporto, in ordine di tempo, si è avuto con il D. L. 48/2023, convertito in L. 85/2023, che con l’art. 24 ha sostituito integralmente le lettere a), b), b-bis) del comma 1 dell’art. 19 del D. Lgs. 81/2015, riscrivendo, così, totalmente la disciplina delle c.d. “causali”.

 

Il testo novellato che ne è uscito è il seguente:

1. Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:

  1. a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51;
  2. b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;

b-bis) in sostituzione di altri lavoratori”.

Coerentemente, il Legislatore è intervenuto anche sull’art. 21, comma 01, del medesimo D. Lgs. 81/2015, che è dedicato alle proroghe ed ai rinnovi contrattuali e che è stato così sostituito: “il contratto può essere prorogato e rinnovato liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente, solo in presenza delle condizioni di cui all’articolo 19, comma 1. In caso di violazione di quanto disposto dal primo periodo, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato”.

 

Si ricorderà che la reintroduzione nel nostro ordinamento delle c.d. “causali” (dopo un’assenza che era durata oltre quattro anni, dal decreto Paoletti) è ascrivibile al c.d. “Decreto Dignità” del luglio 2018 (D. L. 87/2018, conv. in L. 96/2018). Tale decreto aveva lasciato libere le parti di fare ricorso al contratto a termine, anche in somministrazione, senza necessità di apporvi alcuna causale, esclusivamente allorquando si fosse utilizzato uno ed un solo contratto, anche eventualmente prorogato, per una durata complessiva non superiore a dodici mesi.

La specificazione di dettagliate e stringenti causali era necessaria, invece, non soltanto per poter superare i dodici mesi complessivi di impiego del medesimo lavoratore, ma anche in tutti i casi di successione di una pluralità di contratti. Ciò in quanto la legge richiedeva l’obbligatoria sussistenza di una causale in ogni caso di rinnovo, indipendentemente da quale fosse la durata di ciascun contratto e/o della successione di essi.

 

Il legislatore del 2023, in buona sostanza, con il D.L. 48/2023, da un lato, ha realmente liberalizzato integralmente dalle causali i primi dodici mesi di impiego di un medesimo lavoratore con contratto di lavoro a tempo determinato, anche in somministrazione, eliminando, appunto, l’obbligo di apposizione di una causale anche nei casi di rinnovi contrattuali, sempre che si resti entro il limite temporale dei primi dodici mesi di impiego complessivo.

 

Dall’altro lato, ha previsto un periodo transitorio, della durata di un anno, durante il quale le parti possono continuare ad utilizzare i contratti a tempo determinato, anche in somministrazione, per una durata eccedente i dodici mesi in presenza di esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti stesse.

 

Tale periodo transitorio sarebbe dovuto terminare il 30 aprile 2024.

 

Con la Circolare Ministeriale n. 9 del 9/10/2023, anche il Ministero del Lavoro ha avuto modo di confermare che il legislatore ha effettivamente inteso, in tal modo, consentire alle parti sociali di adeguare “alla nuova disciplina i contratti collettivi, le cui previsioni costituiscono fonte privilegiata in questa materia”, chiarendo pure che “tale data è da intendersi come riferita alla stipula del contratto di lavoro, la cui durata, pertanto, potrà anche andare oltre il 30 aprile 2024”.

 

Orbene, con la legge di conversione del c.d. decreto milleproroghe (D.L. 215 del 30.12.2023), attesa entro il 28 febbraio, il termine del 30 aprile 2024 dovrebbe essere prorogato fino al 31 dicembre 2024.

 

Si tratta di una grande occasione, da sfruttare questa volta appieno, per poter costruire la disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato anche in somministrazione, e più in generale della flessibilità, sulla base delle specifiche esigenze dell’azienda e dei lavoratori.

 

Ciò in quanto, dopo tale data non sarà più possibile utilizzare contratti a tempo determinato, anche in somministrazione, per una durata superiore a dodici mesi laddove, appunto, non siano stati definiti “i casi” consentiti proprio dal CCNL “di cui all’art. 51”.

 

Si ricorda che l’art. 51 del D. Lgs. 81/2015, cui espressamente fa rinvio la disposizione della lett. b dell’art. 19, comma 1, del decreto stesso, dispone che “ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.

 

Con tale norma, di portata davvero storica, il legislatore del 2015, in materia di flessibilità, ha per la prima volta equiparato tutti i livelli della contrattazione collettiva, conferendovi espressa delega legislativa. Il che significa che nelle materie per le quali il D. Lgs. 81/2015 ha conferito la delega alle parti sociali è possibile intervenire anche in sede di contrattazione aziendale, a prescindere da quanto disposto al riguardo per la generalità delle aziende dal CCNL di riferimento. Ciò in virtù di tale espressa disposizione di legge (l’art. 51 D. Lgs. 81/2015, appunto).

 

Già a partire dalla c.d. legge Fornero del 2012 e poi, soprattutto, con il c.d. Jobs Act del 2015 è stata chiara l’indicazione che il legislatore ha deciso di fornire alle parti sociali circa la necessità di disegnare le regole della flessibilità in sede di contrattazione collettiva, anche (e soprattutto, aggiungerei) aziendale.

 

Oggi tale indicazione è divenuta un aut aut.

 

Ciò in quanto, come detto, dopo il 31.12.2024 soltanto quelle aziende che avranno fatto ricorso alla contrattazione collettiva aziendale ed avranno definito le c.d. “causali” in sede pattizia potranno utilizzare il medesimo lavoratore, per le medesime mansioni, con contratti a termine (anche in somministrazione) per un periodo superiore a 12 mesi.

Tutte le altre, invece, dovranno limitarne l’impiego ad un massimo di 12 mesi e non potranno proseguire oltre.

 

Ma, si badi bene: si tratta di un’opportunità e non già di una minaccia.

 

Ed infatti, utilizzando la delega legislativa si può davvero disegnare la disciplina della flessibilità su misura delle specifiche esigenze promananti dal contesto aziendale e dai lavoratori stessi, atteso che, oltre ad individuare i casi (specifici) in cui è possibile superare i 12 mesi di impiego, il D. Lgs. 81/2015 delega alla contrattazione collettiva anche la possibilità di:

 

  • definire il limite di durata massima di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato anche in somministrazione per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, ai sensi dell’art.19, comma 2. Tale limite può essere anche superiore ai 24 mesi previsti per legge, fermo il rispetto dei principi dettati dal diritto comunitario riguardo alla temporaneità dell’impiego;
  • determinare i limiti di contingentamento per l’utilizzo dei CTD e della somministrazione di manodopera, sia a tempo indeterminato che a termine, ai sensi degli artt. 23, comma 1 e 31, commi 1 e 2;
  • prevedere ipotesi al ricorrere delle quali non si applicano i termini di c.d. “stop and go”, ai sensi dell’art. 21, comma 2;
  • regolamentare in maniera specifica il diritto di precedenza nei casi di ricorso al CTD, ai sensi dell’art. 24, comma 1;
  • definire modalità incentivanti anche relativamente al personale in somministrazione (art. 35, comma 3);
  • disciplinare il contratto di apprendistato (artt.42 e ss.).

 

Insomma, le aziende che sapranno coltivare buone relazioni industriali e sapranno fare buon uso di tutti gli strumenti messi a disposizione dalla contrattazione collettiva aziendale avranno una notevole marcia in più rispetto a quelle che continueranno, ottusamente, a non volersi aprire al dialogo con le organizzazioni sindacali e resteranno, così, ingessate nei rigidi limiti legali.

 

Si tratta, all’evidenza, di un’occasione da non farsi sfuggire.

 

Avv. Luca Peluso

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